Plasma freddo nel biomedicale
L’Università di Bologna ha brevettato un dispositivo in grado di produrre un mix di gas sterilizzanti a partire da una scarica di plasma non-termico: una soluzione economica che, permettendo il riciclo delle sostanze utilizzate, non presenta problemi legati all’impatto ambientale e alle complicazioni dovute all’uso di gas tossici e cancerogeniM.B. 29 settembre 2019 2963 0
Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha brevettato un dispositivo che permette di sterilizzare prodotti biomedicali sfusi o in blister attraverso l’utilizzo di un plasma non-termico. A partire da una scarica di plasma freddo, lo strumento è in grado di produrre un mix di gas sterilizzanti, che viene convogliato sui prodotti da sterilizzare, per essere poi riciclato o neutralizzato prima di essere reimmesso in atmosfera.
Questa nuova tecnologia, tutelata da brevetto, è stata sviluppata da un gruppo di studiosi del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi” dell’Università di Bologna. Il team, composto da Gabriele Neretti, Paolo Seri e Carlo Angelo Borghi, si occupa da anni di applicazioni ingegneristiche di plasmi non-termici applicate in particolare su una delle applicazioni più promettenti come la sterilizzazione di superfici.
Plasma caldo e plasma freddo
I plasmi sono gas ionizzati che contengono sia particelle cariche, come elettroni o ioni, sia particelle neutre, come atomi o molecole chimicamente reattive. Quando si trovano a pressione atmosferica, la maggior parte dei plasmi sono molto caldi: possono raggiungere temperature di migliaia di gradi centigradi e sono quindi molto difficili da utilizzare in presenza di materiali sensibili al calore.
Il nuovo strumento ideato dai ricercatori dell’Alma Mater utilizza però un altro tipo di plasma, che resta freddo a temperatura e pressione ambientale e che consente quindi anche la sterilizzazione di oggetti in plastica, come gli apparati biomedicali.
Ma come funzione nel dettaglio il processo? L’aria presente naturalmente nell’ambiente (o anche aria sintetica stoccata in bombole) viene pompata, attraverso un abbattitore di umidità, all’interno del reattore e qui viene generata una scarica elettrica in grado di produrre composti reattivi dell’ossigeno e dell’azoto. Una volta generate, queste sostanze gassose vengono immesse in una camera da vuoto che contiene l’oggetto da sterilizzare.
«Questo procedimento permette alle sostanze attive di penetrare anche all’interno dei classici blister usati in ambito medicale perché questi prodotti sono spesso già dotati di una membrana semi porosa – spiega Gabriele Neretti, uno dei ricercatori coinvolti. – Dopo un certo tempo di permanenza in camera da vuoto, poi, la camera viene svuotata e il composto gassoso può essere riutilizzato per un nuovo ciclo oppure, dopo essere stato preventivamente depurato, essere immesso in atmosfera».
Oltre all’utilizzo di un plasma non-termico, il nuovo dispositivo permette infatti anche di ottenere gas che possono essere riciclati e depurati, a differenza delle procedure comunemente utilizzate per la sterilizzazione di prodotti biomedicali.
«Al contrario delle procedure di sterilizzazione attualmente impiegate, quella da noi sviluppata non ha problemi legati all’impatto ambientale e alle complicazioni dovute all’uso di gas tossici e cancerogeni per la sterilizzazione, come l’ossido di etilene, comunemente impiegato – conferma Neretti. – Nonostante questo però, la tecnologia proposta resta perfettamente compatibile con quella attuale: invece di pompare all’interno della camera di sterilizzazione l’ossido di etilene si introducono i gas prodotti dal plasma».
Il metodo proposto potrebbe quindi sostituire quello esistente, basato sull’ossido di etilene, per la sterilizzazione di tutti gli apparati medicali preventivamente impacchettati in blister senza che siano necessarie particolari modifiche agli impianti attualmente in uso. Inoltre, l’efficienza energetica del processo di produzione di gas sterilizzante con plasma non-termico rende questa soluzione anche economicamente conveniente. Tanto che già si sta pensando a nuove possibili applicazioni.
«In futuro si potrebbero operare sterilizzazioni anche su altri prodotti attualmente non trattati perché conveniente economicamente – conferma Gabriele Neretti. – Ad esempio, test di laboratorio hanno confermato la possibilità di sterilizzare una superficie contaminata da un comune fungo patogeno, Candida albicans».